RECUPERO DI MATERIA E DI ENERGIA DAI RIFIUTI: ALLA RICERCA DEL SACRO GRAAL

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Mario Grosso

Abstract

L’iconografia associata alle discussioni tecnico-scientifiche sulla gestione dei rifiuti urbani è generalmente basata su due immagini: la prima (Fig. 1) è costituita dal triangolo o dalla piramide che esemplificano la gerarchia di gestione definita dalle Direttive Europee, mentre la seconda (Fig. 2) è la rappresentazione delle attuali forme di gestione implementate nei vari Stati, suddivisa tra le voci “discarica”, “riciclo”, “trattamenti biologici” e “recupero di energia”. Generalmente nei convegni dedicati alla materia, queste due immagini vengono “bruciate” dai primi relatori, costringendo i successivi a noiose ripetizioni sul tema.

La gerarchia di gestione, come ripeto sempre ai miei studenti, non è incisa nella pietra, tant’è che lo stesso articolo della Direttiva che la introduce specifica in un successivo comma che determinati flussi di rifiuti (e aggiungo io, determinati contesti territoriali) possono discostarsi dalla gerarchia qualora ciò comporti dei benefici ambientali, dimostrabili mediante strumenti di analisi del ciclo di vita (LCA). Questo possibile scostamento, che nella maggior parte dei casi si può applicare al terzo e quarto livello (recupero di materia vs. recupero di energia) va in realtà valutato anche per tutti gli altri, prevenzione inclusa. E la ricerca portata avanti dal gruppo che ho il piacere di coordinare presso il Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale del Politecnico ha evidenziato alcune situazioni nelle quali misure di prevenzione come implementate in specifici contesti territoriali non comportano in realtà alcun beneficio ambientale rispetto alle attività sostituite (Dolci et al., 2014; Tua et al., 2015).

Ma è appunto proprio nello “scontro” tra recupero di materia e di energia che si concentrano le discussioni più accese, non solo sul piano scientifico ma soprattutto su quello politico e sociale. Numerosi sforzi sono stati fatti per dare una risposta scientifica alla questione. L’analisi del ciclo di vita ha già fornito alcune indicazioni in merito ad un possibile punto di ottimo del livello di raccolta differenziata, come ad esempio quanto rilevato da Giugliano et al. (2011), ma le difficoltà di questa ricerca dell’optimum sono note agli addetti ai lavori. Da un lato il recupero di energia, se avviene mediante la produzione di energia elettrica e/o calore, richiede di effettuare pesanti ipotesi sul mix sostituito. Ipotesi che, all’estremo, potrebbero portare alla sostituzione di energie rinnovabili, e dunque senza beneficio alcuno. Dall’altro lato il recupero di materia soffre ancora di lacune informative su importanti parametri come le caratteristiche quali-quantitative degli scarti di selezione e riciclo, che ne condizionano il destino, e sulla qualità dei materiali riciclati, che ne condizionano anche qua le tipologie di prodotti primari sostituiti. Mentre vi è consenso unanime sulla progressiva degradazione di materiali quali carta, plastica e legno, che dunque subiscono prevalentemente processi di “downcycling”, più recente è la consapevolezza del fatto che anche materiali considerati riciclabili all’infinito in realtà presentano delle limitazioni che ne condizionano l’effettiva sostituibilità di materie prime vergini (Allegrini et al., 2015). E questo anche a causa dell’incremento stesso dei tassi di riciclo, cosa che inevitabilmente comporta una sempre maggiore disponibilità di materiali riciclati e dunque intrinsecamente più “sporchi”, limitandone così il campo di applicazione. Un altro grande tema che limita le potenzialità del riciclo per alcuni materiali è quello del contatto con gli alimenti. Le preoccupazioni recentemente sollevate in merito alla possibile migrazione di olii minerali contenuti nella carta riciclata hanno indotto gli utilizzatori a ritornare all’utilizzo di imballaggi prodotti con materia prima vergine, a scopo precauzionale. Relativamente alla plastica, invece, le normative vigenti già prevedono precise limitazioni sia sul processo produttivo che sul tipo di utilizzo degli imballaggi contenenti materiale riciclato.

Nel recupero di energia, invece, la situazione è profondamente diversa. I “prodotti” ottenuti, siano essi energia elettrica, calore o biometano, non soffrono di alcuna degradazione qualitativa rispetto ai corrispondenti prodotti primari. La partita quindi si gioca sull’efficienza di conversione dell’energia contenuta nei rifiuti e sul controllo degli inquinanti emessi al camino. Relativamente al primo aspetto, il progressivo riequilibrio degli impianti di termovalorizzazione da un assetto fortemente sbilanciato verso la produzione di energia elettrica ad un maggiore ricorso alla cogenerazione di energia termica, dettato dall’evoluzione del quadro incentivante, porta automaticamente ad una impennata prestazionale. Circa il controllo delle emissioni, alcune recenti realizzazioni come gli impianti di Parma e di Bolzano dimostrano come le attuali tecnologie consentano di collocarsi su concentrazioni al camino estremamente modeste, sia in termini assoluti che a confronto con altri settori industriali.

Il biometano prodotto a partire dalla digestione anaerobica del rifiuto organico raccolto per via differenziata, verso cui molti operatori si stanno orientando sempre a causa dell’evoluzione del quadro incentivante, rappresenta invece una situazione in cui il “prodotto” è addirittura migliore del corrispondente primario. Infatti, a parità di tutte le altre caratteristiche, presenta l’importantissimo vantaggio della provenienza biogenica del carbonio e dunque la sua neutralità nell’emissione di gas serra. Se uniamo queste considerazioni all’anomalia tutta italiana sull’utilizzo diffusissimo del metano per produzione di energia elettrica, riscaldamento e autotrazione si capisce bene come il biometano dagli scarti organici sia l’unico vero biocombustibile su cui è ragionevole investire nel nostro paese.

Infine il recupero di energia mediante trasformazione del rifiuto residuo in Combustibile Solido Secondario (CSS) per utilizzo in co-combustione in impianti industriali consente di ridurre l’utilizzo del carbone o del petcoke, ancora una volta contribuendo alla lotta alle emissioni di gas serra. Se ciò avviene nei cementifici, recenti valutazioni hanno mostrato come per gli impianti dotati delle Migliori Tecniche Disponibili (BAT) le eventuali preoccupazioni per l’emissione di microinquinanti al camino non paiono fondate (Cernuschi et al., 2014).

Recupero di materia ed energia, ben lungi dall’essere due destini alternativi e divergenti, trovano infine importanti sinergie nel momento in cui gli scarti dell’uno trovano sbocco nell’altro. Ad esempio gli scarti di selezione della plastica possono essere convenientemente avviati a co-combustione, mentre dalle scorie dei termovalorizzatori si possono recuperare interessanti quantitativi di metalli, ferrosi e non ferrosi. Relativamente a questi ultimi, e all’alluminio in particolare, è stato inoltre dimostrato come il processo termico consenta di recuperare frazioni contenute nei materiali laminati e poliaccoppiati altrimenti impossibili da riciclare (Biganzoli e Grosso, 2013).

Una risposta più empirica, ma particolarmente robusta, all’annosa questione fin qua discussa è tuttavia quella che proviene dalla lettura della seconda immagine iconografica che ho citato in apertura. I Paesi che si sono emancipati dalla discarica lo hanno fatto inequivocabilmente per mezzo di uno sforzo congiunto sui due fronti, recupero di materia e recupero di energia.

Alla luce di quanto sopra, si può affermare che la rincorsa tipicamente italiana a livelli stratosferici di raccolta differenziata (che, non ci stancheremo di ripetere, non ha nulla a che vedere con l’effettivo avvio a riciclo, né in termini quantitativi né qualitativi), al di là dell’appagamento squisitamente politico di chi li sciorina, non poggia su solide basi tecnico-scientifiche. D’altronde gli obiettivi di raccolta permangono solo nel nostro ordinamento nazionale, mentre l’Unione Europea già da tempo fissa obiettivi di riciclo. Obiettivi, questi ultimi, che nel recente comunicato sul nuovo pacchetto sull’economia circolare (Commissione Europea, 2015) sono peraltro stati leggermente rivisti al ribasso rispetto a quello precedente. Mantenendo invece un’importante focalizzazione su quello che è il vero obiettivo da perseguire per mezzo del recupero dei rifiuti: la continua riduzione degli smaltimenti in discarica.

 

Bibliografia

Allegrini E., Vadenbo C., Boldrin A., Astrup T.F. (2015) Life cycle assessment of resource recovery from municipal solid waste incineration bottom ash Journal of Environmental Management, 151, pp. 132-143

Biganzoli L., Grosso M. (2013) Aluminium recovery from waste incineration bottom ash, and its oxidation level. Waste Management & Research 31(9) 954–959

Cernuschi S., Grosso M., Biganzoli L., Sterpi I. (2014) Implicazioni ambientali dell’utilizzo di combustibili alternativi derivati da rifiuti nella produzione di cemento. http://www.leap.polimi.it/leap/images/Documenti/news/20150212_Piacenza/rapporto_finale.pdf

Commissione Europea (2015) Circular economy. Closing the loop – an ambitious EU circular economy package. http://ec.europa.eu/priorities/jobs-growth-investment/circular-economy/docs/circular-economy-factsheet-general_en.pdf

Dolci G., Nessi S., Rigamonti L., Grosso M. (2014) Prevenzione dei rifiuti tramite la distribuzione di prodotti alimentari sfusi: un confronto basato sulla metodologia LCA. Ingegneria dell’Ambiente Vol 1, N° 1, pag. 47-64

Giugliano, M., Cernuschi, S., Grosso, M., Rigamonti, L. (2011) Material and energy recovery in integrated waste management systems. An evaluation based on life cycle assessment. Waste Management 31 (9-10), pp. 2092-2101

Tua C., Nessi S., Rigamonti L., Grosso M. (2015) Prevenzione dei rifiuti nella distribuzione di prodotti ortofrutticoli: confronto tra farm delivery e modalità tradizionali. Ingegneria dell’Ambiente Vol 2, N° 1, pag. 39-55

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