I FANGHI, INEVITABILI PRODOTTI DELLA DEPURAZIONE DELLE ACQUE DI RIFIUTO

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Roberto Canziani

Abstract

Come dobbiamo considerare i fanghi prodotti della depurazione delle acque di rifiuto? Una risorsa? E se fossero una risorsa perché dovremmo ridurne la produzione? Oppure sono un rifiuto? O, infine, sono un rifiuto da cui trarre utili risorse? E se questo fosse il caso, sarebbe un’opzione sostenibile?

Uno dei punti certi è che i fanghi sono proprio inevitabili: mediamente 0,3 kg di materia secca per ogni kg di COD rimosso dal depuratore, con umidità compresa tra il 75 e l’85%. 

Come noto, per essere “sostenibile”, una iniziativa deve contemporaneamente: 1) essere economicamente conveniente, 2) essere socialmente accettabile e 3) produrre sull’ambiente effetti possibilmente positivi o, quantomeno, meno negativi di tutte le altre alternative.

Un mio collega, più anziano e ben più esperto di me[1], ha ribadito in più sedi internazionali che la progettazione razionale della gestione dei fanghi richiede che questi diventino il punto di partenza per ogni decisione riguardante il complessivo ciclo di trattamento delle acque di rifiuto di cui, in definitiva, essi sono il prodotto.

 

Lo stato di fatto

Va detto chiaramente che i fanghi sono certamente un rifiuto (codice europeo dei rifiuti 19 08 05 “fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane”) e il loro smaltimento incide tra non meno del 15% e fino al 40% dei costi di gestione di un impianto di depurazione.

Nell’Unione Europea (Figura 1) l’Italia è tra i Paesi che fanno ancora maggior ricorso alla discarica (40% del totale), seguita dall’uso in agricoltura (40%), con percentuali residuali per trattamenti termici e altre forme di riciclo (riciclo come fanghi di defecazione, materiali per fornaci e cementerie, ecc.).

È in queste settimane in discussione al Senato un disegno di legge (DDL AS 2323) per conferire delega al Governo “per la modifica della normativa in materia di utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura”, che tende a rendere più restrittive le condizioni per l’ammissibilità dei fanghi a questo tipo di smaltimento.

Nella attuale situazione italiana, ciò porterebbe inevitabilmente ad aumentare la quota destinata alla discarica, non potendo certo immaginare che in poco tempo il sistema evolva verso una situazione simile a quella della Svizzera, che ha di fatto lasciato il “monoincenerimento” (incenerimento dei soli fanghi) quale unica alternativa, avendo vietato in modo assoluto l’utilizzo agricolo dei fanghi a partire dal 1° ottobre 2008, e lo smaltimento in discarica fin dal 1996.

C’è da augurarsi quindi che la norma preveda un adeguamento graduale secondo una tempistica realistica, per dar modo a coloro che producono fanghi “non idonei” all'utilizzo agricolo di attrezzarsi per una alternativa praticabile.

Come ridurre la produzione di fanghi di depurazione?

Ridurre i fanghi significa, a parità di caratteristiche finali, ridurre i costi di smaltimento. Anche se si praticano opzioni di recupero, oggi i costi superano sempre i ricavi.

Una riflessione particolare meritano i processi di riduzione dei fanghi, per i quali occorre ponderare bene l'impatto energetico, ed evitare che la loro applicazione peggiori il bilancio complessivo dell'impianto di depurazione. Ad esempio, i processi combinati di lisi termica e digestione anaerobica riducono la produzione di fanghi digeriti, aumentando la produzione di biogas e, quindi di energia, in misura maggiore di quanta ne spendano per il processo di lisi. In questa stessa direzione va la co-digestione dei fanghi con rifiuti organici biodegradabili (per lo più liquidi), possibile sfruttando eventuali capacità residue dei digestori.

Altre tecnologie mirano alla riduzione dei fanghi di supero prodotti dai processi a fanghi attivi. Sono in corso studi pilota su processi che sfruttano il metabolismo anossico di alcuni batteri denitrificanti e accumulatori di fosforo, con processi alternati, SBR e “side stream”.

Sono già allo stato di applicazione a piena scala processi innovativi che utilizzano le biomasse granulari (esiste un brevetto olandese e anche un paio italiani), e processi autotrofi (Anammox, a biomasse granulari o adese) per la rimozione dell’azoto, applicabili non solo alle acque di risulta del trattamento dei fanghi, ma anche alla linea acque (Cold Anammox).

I costi dello smaltimento dei fanghi

In Lombardia, inviare fanghi in agricoltura costava circa 90 Euro/t fino a dieci anni fa. Poi per la concorrenza spietata tra aziende che provvedevano al ritiro e riutilizzo dei fanghi in agricoltura, i costi sono scesi nel 2015 a 50 – 70 Euro/t.

Tuttavia, lo smaltimento in agricoltura presenta criticità se resta l’unica alternativa possibile.

Si tratta di un problema comune a tutti i casi in cui in un intero ambito territoriale sia stata scelta una sola via di smaltimento/riciclo, che non preveda cioè, in partenza, possibili alternative sia per situazioni di emergenza, sia perché siano necessari sbocchi diversi conseguenti alla variabilità delle condizioni di mercato e/o della normativa di riferimento. È recente il caso di un importante centro lombardo di trasformazione di fanghi da destinare all'agricoltura, messo sotto sequestro qualche mese fa per presunte irregolarità (il procedimento giudiziario è in corso). Il caso ha dimostrato in modo eclatante la fragilità di affidarsi a un solo canale di smaltimento. Alcuni importanti gestori del Servizio Idrico Integrato, rimasti senza controparte contrattuale scelta dopo gara di appalto, hanno dovuto smaltire i propri fanghi a costi compresi tra 100 e 140 Euro/t per fanghi al 20-25% di secco. Il caso lombardo non è l’unico. Altre indagini hanno riguardato l’illecito smaltimento di fanghi di origine industriale In Toscana, Campania e Veneto su iniziativa del Tribunale di Firenze.

Da una indagine condotta dal LEAP di Piacenza si è stimato che il monoincenerimento costa intorno a 80-90 Euro/t (incluso ammortamento dell’impianto e trasporto), per impianti di potenzialità dell’ordine di 20-25.000 t/anno di fango umido al 25%. La frazione secca dei fanghi ha potere calorifico compreso tra 16 e 25 MJ/kg in funzione della frazione di solidi volatili e del tipo di processo di stabilizzazione. Il potere calorifico inferiore (PCI) dei fanghi di depurazione non stabilizzati, con secco di circa il 35% e frazione combustibile dell’80% sul secco, è di circa  8 MJ/kg, valore che consente l’incenerimento senza combustibili ausiliari.

La termodistruzione (monoincenerimento) si presenta quindi come un’opzione complementare (e non unica) anche per il recupero di materia (fosfati e inerti). Dalle ceneri è possibile estrarre fosfati (che non sono volatili) con processi già messi a punto di cui iniziano a vedersi le prime applicazioni commerciali. La Svizzera ha reso obbligatorio il recupero del fosforo dalle ceneri, coerentemente con l’aver reso il monoincenerimento l’unica via di “trasformazione” dei fanghi. Le ceneri possono poi essere inertizzate e utilizzate per la realizzazione di materiali ceramici. La mancanza di normative specifiche per tale riutilizzo costringe a inviare le ceneri inertizzate (sono circa il 30-40% del secco, o il 7-8% della massa iniziale dei fanghi umidi), privi di inquinanti organici, a una discarica per inerti,  dove i metalli pesanti sono immobilizzati in matrici minerali e non più diffusibili, né biodisponibili.

Se si considera che le acque depurate possono essere riutilizzate in agricoltura, è possibile cercare di ricondurre tutto il servizio idrico nell’ambito dell’economia circolare, purché basata su solidi presupposti tecnico-scientifici, oltre che ambientali, sociali ed economici. Altrimenti, l'adozione di soluzioni affrettate o puramente ideologiche e non adeguatamente ponderate produce conseguenze i cui costi graveranno, prima o poi, sui cittadini utenti del servizio idrico.

 

Roberto Canziani, Politecnico di Milano

 


[1] Desidero ringraziare l'ing. Ludovico Spinosa per i suoi consigli e per la sua esperienza, preziosi per la stesura di queste note.

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Biografia autore

Roberto Canziani, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Politecnico di Milano

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Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale - Sezione Ambientale. Professore associato di Ingegneria Sanitaria-Ambientale.